GIUBILEO : GIUSTIZIA E PERDONO

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GIUBILEO : GIUSTIZIA E PERDONO

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Dagli atti del Convegno U.G.C.I. - Lamezia Terme-
RELATORE : DOTT.MARCELLO VITALE (Procuratore della Repubblica )

La parola “giubileo” – di origine biblica, indicante l’anno della remissione – deriva dal termine “Jobel “, che è il suono del corno che chiamava a raccolta il popolo di Israele e annunciava le feste del tempio; termine che richiama anche oggi, nel linguaggio comune, il “giubilo” (la gioia di un anniversario e di una festa) ed ebbe verosimilmente a suggerire al papa Giovanni Paolo II , nel proclamare il grande giubileo del 2000 (che è il 26°  tra i giubilei ordinari), l’ispirata espressione :”Dimenticate i vostri motivi di tristezza! Il vostro dolore è finito: bisogna sapere uscirne!”. Ma come “uscirne?” : attraverso una vera conversione postulante una piena adesione al momento storico in cui viviamo, alla vita reale, dalla quale riceviamo normalità ed equilibrio, senza evasioni o fughe, riconoscendo invece la mano della Provvidenza e della Volontà di Dio attraverso i segni dei tempi. Ed è pertanto a un vero cambiamento di orizzonte, ad un rinnovamento di speranza, della quale siamo ereditari, che il Giubileo chiama i cristiani sulle ali delle sublimi parole pronunciate dal sommo pontefice nella basilica di S. Pietro all’Angelus della prima domenica di Quaresima : “I cristiani entrano nel terzo Millennio come testimoni credibili della speranza”. La testimonianza della fede e della speranza sono indissolubilmente legati al perdono, la cui dimensione attribuisce completezza sia all’una che all’altra. Ha aggiunto inoltre il Santo Padre nella prima domenica di Quaresima: ” Il vangelo del perdono è il presupposto dell’autentica pace…mentre chiediamo perdono, perdoniamo”; pensiero questo, peraltro, già espresso da Giovanni Paolo II nel corso del suo messaggio del 1997 per la celebrazione della XXX giornata della Pace “Offri il perdono, ricevi la pace” e che, se fosse oggi concretamente recepito in Italia sul versante del fronte laico, almeno nei suoi punti essenziali, contribuirebbe, nel dibattuto e “scottante” tema della giustizia, a “svelenire” il clima, quasi di contrapposizioni frontali e schieramenti avversi, che si è purtroppo creato, e indurrebbe ad evitare di considerare, come di sovente accade, la legge come direttamente relativa a singoli casi personali e di gruppo, recuperandosi così il vecchio e saggio principio di civiltà che la legge è generale e astratta.

Del resto, le idee portanti di papa Wojtyla  nell’affrontare i temi della giustizia appaiono in piena concordanza con quelle della Costituzione Italiana che è tutta improntata al metodo di correttezza costituzionale: ciascuno dei soggetti in campo, ossia governo, parlamento, magistratura, avvocatura, deve, con reciproca indipendenza, svolgere il proprio ruolo istituzionalmente corretto, e cioè senza “invasione di campo”. Nel momento in cui tali soggetti ritorneranno a ricoprire esattamente il ruolo che la Costituzione ha  assegnato a ciascuno di essi, si potrà riprendere su tanti specifici argomenti oggi “scottanti” una discussione serena, non inquinata da fatti personali e da questioni giudiziarie singole.

Trascorrendo a una breve disamina del pensiero del Papa, espresso nel suo “messaggio” sulla giustizia denunciata in occasione della XXX giornata mondiale della Pace, apprendiamo che il perdono nella sua forma più vera e più alta è un atto di amore gratuito, che però ha anche le sue intrinseche esigenze: la prima di esse è il rispetto della verità. Dio soltanto è assoluta verità. Egli tuttavia ha aperto il cuore umano al desiderio della verità, che ha poi rivelato in pienezza nel Figlio incarnato. Tutti sono quindi chiamati a vivere la verità. Là dove si seminano menzogne e falsità, fioriscono sospetto e divisione. Anche la corruzione e la manipolazione politica o ideologica sono essenzialmente contrarie alla verità: esse aggrediscono le fondamenta stesse della convivenza civile e minano la possibilità di relazioni sociali pacifiche.

E qui, un primo spunto di riflessione : oggi vi è rispetto della verità? O vi è, spesso, manipolazione ideologica della verità? E’ una verità assoluta, intangibile, quella che oggi transita sulle ali dei mass-media e che pretenderebbe di soverchiare ogni dibattito che sale dalla società civile in nome del mito della “globalizzazione dei mercati” e della new economy?. Che pretenderebbe di creare sempre più ricchi (pochi) da una parte e sempre più poveri ed emarginati (moltissimi) dall’altra parte? E’ una verità intangibile quella che, nell’esaminare le cause del forte decremento demografico in Italia (specie in quella meridionale), oblitera in qualche modo il dato preponderante che è quello della forte disoccupazione, specialmente giovanile, che sconsiglia al giovane disoccupato, ovvero occupato solo “precariamente”, di mettere su famiglia?

Altro “momento” forte del pensiero di papa Wojtyla in tema di perdono nel suo messaggio in occasione della XXX giornata mondiale della Pace, è che “il perdono, lungi dall’escludere la ricerca della verità, la esige. Il male compiuto deve essere riconosciuto e, per quanto possibile, riparato“. Proprio questa esigenza postula l’attuazione di opportune procedure di accertamento della verità quale primo passo verso la riconciliazione. Presupposto essenziale del perdono e della riconciliazione è la giustizia: la giustizia, che ha il suo criterio ultimo nella legge di Dio e nel suo disegno di amore e di misericordia sull’umanità, non si limita a stabilire ciò che è retto tra le parti in conflitto, ma mira soprattutto a ripristinare relazioni autentiche con Dio, con se stessi, con gli altri. Non sussiste, pertanto, alcuna contraddizione tra perdono e giustizia. Il perdono, infatti, non elimina né diminuisce l’esigenza della riparazione, che è propria della giustizia, ma punta a reintegrare sia le persone che i gruppi nella società.

A mio modo di vedere le parole del Santo Padre, laddove si affronta il tema della “reintegrazione” delle persone colpevoli di gravi delitti nella società, ben si pongono in  sintonia col dettato dell’art. 27 della Carta costituzionale che fissa il principio di alta civiltà giuridica della finalità rieducativa della pena “che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato”. E’ questo il principio della cd. “umanizzazione della pena”, ricollegabile a quello più generale del rispetto della persona umana” che postula il divieto di pene disumane quali la tortura, la fustigazione, le pene corporali in genere. E’ in questa prospettiva (anche se la strada da percorrere è ancora lunga) che si sono indubbiamente mosse nel nostro Paese le riforme carcerarie – specie ad iniziare dalle novelle ad esse apportate dalla L. 633/1986 – le quali hanno attuato un sistema penitenziario maggiormente conforme al dettato costituzionale, sia tramite l’introduzione di uno strumento sanzionatorio differenziato (v. differenziazione di trattamento con l’art. 41bis Ord. Penit. tra i rei di delitti di mafia e quelli per i reati di delinquenza comune), sia per l’attenzione stessa rivolta all’attuazione dei diritti fondamentali dei detenuti: corrispondenza, salute, libertà religiosa e così via.

Epperò bisogna riconoscere che ancora oggi nel carcere si scaricano tutte le contraddizioni della società contemporanea: l’immigrazione, la tossicodipendenza, la marginalità sociale, più banalmente la povertà. Tanto è vero che su 52.000 carcerati ufficiali in Italia più della metà sono tossicodipendenti o immigrati. Insomma nel carcere si scaricano tanti problemi anche di natura squisitamente sociale. Bisognerebbe concentrare l’utilizzo della detenzione per i reati che hanno effettiva pericolosità sociale, garantire la sicurezza e certezza della pena, ma anche creare le condizioni per cui chi vuole uscire dal circuito criminale lo possa fare. Cosa si fa oggi per il reinserimento sociale di colui che, dopo avere scontato la pena, esce di prigione? Cosa si fa per recuperarlo e consentirgli di vivere dignitosamente? Credo che si faccia poco o niente! Sono convinto che il crimine, almeno la maggior parte dei crimini di cui sopra ho detto ricollegabili in vario modo alle sacche di emarginazione e di povertà di diversi strati della popolazione, si sconfigge con la prevenzione e non con la repressione che non sconfigge il crimine, lo punisce e dunque per definizione non serve a sconfiggerlo. Due sono le principali vie sul versante della prevenzione del crimine : la creazione di lavoro da una parte, la crescita della cultura e della istruzione dall’altra. Il punto è quello di impedire che la repressione, che non è risolutiva, prevalga sulla prevenzione.

Ma oggi in Italia le risposte delle competenti Autorità sono scarse ed anzi deboli, con una legislazione che, in mancanza di un’adeguata progettazione globale (necessitante anche di tempi lunghi per ottenere proficui risultati), si muove spesso sull’onda emergenziale, come l’esperienza insegna anche in tempi recenti. E ciò in un sovraffollamento di normative, spesso contrastanti tra loro, che rendono difficile, anche per gli addetti ai lavori, la navigazione all’interno del pianeta giustizia! Certo, la giustizia non è vendetta contro chi ha commesso un reato. Epperò, per riempire di concreto significato il termine giustizia, si pone un problema di relazioni tra giustizia e regole. Senza regole non sono possibili rapporti interpersonali (ubi societas ibi ius), ma esse non sempre si identificano con le leggi perché le stesse regole sono solo uno strumento: ci sono anche sistemi dittatoriali che sono legali, ma non credo che un sistema dittatoriale sia un sistema giusto.

Anche sull’argomento ci soccorrono, per così dire, le parole del papa Giovanni Paolo II quando ha risposto, in una sua catechesi, alla domanda cosa sia l’indulgenza. Gesù crocifisso, ha detto il Santo Padre, è la grande “indulgenza” che il Padre ha offerto all’umanità mediante il perdono delle colpe e la possibilità della vita filiale nello Spirito Santo. Ma l’amore paterno di Dio non esclude il castigo anche se questo va sempre compreso all’interno di una giustizia misericordiosa che ristabilisca l’ordine violato in funzione del bene stesso dell’uomo. In tale contesto la pena temporale esprime la condizione di sofferenza di colui che, pur riconciliato con Dio, è ancora segnato da quei “residui” del peccato, che non lo rendono ancora aperto alla grazia. Appunto in vista della guarigione completa, il peccatore è chiamato ad intraprendere un cammino di purificazione verso la pienezza dell’amore. In questo cammino, la misericordia di Dio viene incontro con speciali aiuti. La stessa pena temporale assolve un funzione di “medicina” nella misura in cui l’uomo se ne lascia interpellare per la sua conversione profonda. Sbaglierebbe quindi, conclude Giovanni Paolo II, chi pensasse di poter ricevere questo dono dell’indulgenza con la semplice attuazione di alcuni adempimenti esteriori. Essi sono richiesti al contrario come espressione e sostegno del cammino di conversione.

Misericordia, indulgenza, perdono: formidabili idee-messaggio della religione cattolica; idee assolutamente condivisibili da tutto il fronte laico, almeno da quella parte più disposta al leale confronto dialettico e poco proclive alle ideologie precostituite e spesso integraliste e retrive!

Ma il perdono è una cosa seria. Il perdonismo spesso oggi dilagante in maniera dispersiva e confusionaria, è cosa ben diversa ed anzi costituisce la degenerazione della stessa idea di perdono che è elemento costitutivo del giubileo del 2000. Il perdono è la strada attraverso la quale una persona che sbaglia viene riammessa nella collettività: esso però presuppone la consapevolezza dello sbaglio e la condivisione della comunità (iniziando dalla considerazione del male inflitto alla vittima e del bene sacrificato dal reo, dalla ricerca di un serio approccio con la persona offesa dal reato, anche sul piano del risarcimento del danno, valutate però le capacità economiche del medesimo perdonando, etc.) .

Oggi, invece, succede spesso che il perdono corrisponde alla cancellazione delle responsabilità, al perdonismo che confina…col lassismo.

Si, quindi, al perdono e no al perdonismo facile, a quelle forme di ipergarantismo tutte sbilanciate a favore del trinomio indagato-imputato-condannato e quasi del tutto obliteranti l’inquietante figura della “vittima” che, proprio perché inquietante, si tende tante volte ad esorcizzare attraverso l’oblio!

Occorre recuperare oggi, tutti insieme, il senso di una autentica cultura della legalità, che non propugna vendette ma che neppure è fatta di perdonismo inutile e buonismo con i criminali; cultura della legalità che si nutre di quei sempiterni valori generalmente condivisi dalla Comunità e fondanti di ogni principio di umana e cristiana solidarietà. Ed è proprio su questa lunghezza d’onda, coniugante giustizia e misericordia (senza di che la giustizia è destinata a soccombere trasformandosi in una rivendicazione paranoica), che si innesta la recente proposta del presidente della CEI, cardinale Camillo Ruini, secondo la quale, “compatibilmente con la doverosa attenzione a non peggiorare la già precaria sicurezza sociale”, ricorre attualmente “l’esigenza di misure di clemenza che valgano ad abbreviare, secondo criteri di equità, i tempi della pena “.

La proposta della CEI, anticipata dal cardinale Marini e rilanciata, come dicevo, da S.E. Ruini si configura come una sintesi di due preoccupazioni diverse. Tiene conto dell’esasperazione che afflige un’opinione pubblica sottoposta alle continue minacce della microcriminalità, ma al tempo stesso denuncia il pericolo che la violenza debordi dall’interno delle carceri alla società, come insegna l’esperienza americana  e anche i recenti episodi avvenuti nelle carceri italiane. Si tratta di fermare in tempo la spirale di una insicurezza che genera inciviltà senza garantire l’ordine.

La Chiesa rivendica, quindi, questa forza antropologica, sociale e politica del perdono di cui essa è sacramento.

Ma per perdonare occorre, ripetesi, avere consapevolezza piena dell’atto che si compie, sia da parte di chi perdona che da parte del perdonato. Bisogna insomma anche in ciò essere seri e responsabili : serietà e responsabilità avvertiti come valori e nel contempo insostituibile metodo di approccio ai problemi che affliggono oggi specialmente il pianeta giustizia.

Venerdì 2 giugno 2000- ore 19,30. Aula Giovanni Paolo II – Seminario Vescovile –

Lamezia Terme.

v. a tal proposito Gazzetta del Sud del 17 giugno 2000