1:12:53 PM | Anno 49 | Giovedì 30/11/2000 |
Pino Toscano Un elemento illuministico guida i versi di Marcello Vitale,
procuratore della Repubblica di Lamezia Terme con il vizio della poesia.
Come nell'illuminismo, la parola diventa ”cosa” e invita all'impegno.
Canti sciolti e ballate per i morti di 'ndrina e di mafia”. Un titolo che
è già un manifesto, tendente a richiamare una società distratta. Ieri
sera, nell'affollato salone “Mons. Ferro” della Provincia, dopo una breve
presentazione dell'assessore alla Cultura Santo Gioffrè, il libro è stato
presentato dallo scrittore Antonio Piromalli e dal procuratore aggiunto
della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Salvatore Boemi.
La “ballata” – riflette il prof. Piromalli – rimonta alle origini della
poesia e, da Jacopone da Todi fino al Romanticismo, del quale si
costituisce come un genere fondamentale, dà il senso della
drammatizzazione. Ora, che c'è di più drammatico ai giorni nostri
dell'attacco della mafia ai poteri costituiti? Vitale si serve della
poesia epica come metafora per evocare un mondo di artigiani prima, e poi
di industriali del crimine, che si vogliono atteggiare ad eroi popolari.
Ma i mafiosi restano imprenditori di morte. Gli eroi stanno dall'altra
parte. I versi appaiono “ictu oculi” semplici, perfino elementari. Questa
semplicità, però, corrisponde alle intenzioni di Vitale di non essere un
poeta puro ma impegnato. Una scelta, rileva Piromalli, che contiene
l'esigenza, vista l'ampiezza del problema, di scrivere per tutti, non solo
per alcuni. Così nel libro rinvengono espressioni accessibili a chiunque
ma di incontestabile efficacia, volti come sono a scuotere le coscienze:
«Contava soldi/ con la calcolatrice/ e svelta/ con la P38/ li accatastava
nella cassada morto». Dalla Chanson de Roland all'Opera dei Pupi. La
vanteria: «Il bersaglio – dice il mafioso – fu uno sbaglio. Ma adesso che
l'ho fatto sono contento di averlo ammazzato». I canti e le ballate
illuminano il paesaggio desertico sferzato dal sole degli “uomini di
giustizia” caduti per servire un'idea alta dello Stato. Qui torna la
metafora: mentre i Mori infedeli mostravano il volto, i killer lo
nascondono. La scena è quella di Capaci e il pensiero va a Giovanni
Falcone, il Rolando moderno. Adattando il registro poetico alla scena, i
componimenti hanno il ritmo di sequenze cinematografiche e, sullo sfondo,
pare di sentire le note di un tango che accompagnano l'atmosfera cupa di
morte. La verità è consegnata in modo amaro, suggestivo e indimenticabile.
Ed ecco che l'opera di Vitale – osserva Piromalli – si trasforma in un
esempio non comune di necessità di resistenza ad una mafia che ha,
insieme, l'ossessione del potere e l'abilità di strumentalizzare la
miseria. È la “modernizzazione drogata” che aiuta la 'ndrangheta. «Ma non
vincerà, perchè alla fine, in tutte le sfide importanti, non vince l'idea
della morte ma quella della vita». Vitali attraversa, con straordinaria
capacità di cogliere gli aspetti più significativi, vent'anni della nostra
storia. Il punto di partenza è a cavallo tra gli anni '60 e '70, quando la
mafia da rurale si fa imprenditrice. Uno dopo l'altro, affiorano i nomi e
le tragedie di tante vittime dell'impegno antimafia: magistrati, forze
dell'ordine, uomini delle istituzioni, ma anche giornalisti come Mauro De
Mauro, Giuseppe Fava, Peppino Impastato, la cui voce è stata spenta senza
però oscurarne la testimonianza, perchè «la libertà di manifestare il
pensiero non potrà mai andare al camposanto». L'elenco delle croci è
lungo. Don Pino Puglisi, che «predicava con l'esempio e non con le parole
il messaggio evangelico»; il primo pentito di mafia, Leonardo Vitale, che
non fu creduto dai magistrati perchè era stato ricoverato al manicomio
criminale e poi venne “punito” con la lupara da Cosa Nostra; il generale
Dalla Chiesa, l'Avvocato generale dello Stato Francesco Ferlaino, su cui
si abbattè anche l'onta di un'inchiesta mai condotta a termine; il
maresciallo Aversa; ma anche ci sono anche i morti senza nome, come i due
netturbini di Lamezia e altri di cui si è persa traccia. Anche per questo,
i canti e le ballate sollecitano un rapporto più stretto con “il valore
della memoria”. «Man mano che sfogliavo le pagine», inizia il procuratore
Boemi, «ho avuto la sensazione che Vitale ha scritto non un libro di
poesie ma un libro di storia. In questo volume c'è la storia del nostro
Meridione dagli Anni Settanta agli Anni Novanta. È un libro che prima ti
emoziona perchè ti costringe a ricordare; poi ti sorprende, come nella
descrizione della morte di Falcone. Mi ha colpito il particolare delle
lacrime che Giovanni ha versato avendo la consapevolezza che prima di lui
era caduta la sua compagna. Poi, uno dopo l'altro, come tanti pugni nello
stomaco, altri momenti di terrore mafioso». Boemi ricorda lo sbandamento,
anche all'interno della magistratura, che seguì la strage di Capaci e che
si manifestò visivamente nel pianto di Caponnetto. Fu Borsellino a
scuotere tutti: «Non è finito niente», disse. Poi cadde anche lui nella
strage di via D'Amelio. E dopo di lui, sentendosi ormai sola, si uccide
Rita Atria, che Borsellino aveva convinto a cambiare vita. La mafia è
questo, dice Boemi. E il libro di Marcello Vitale «serve a ricordarcelo».
|
|
Tutti i diritti riservati ©
1998 SES S.p.A. - Società Editrice
Siciliana Realizzazione, Layout e Gestione - MORGANA - Networking & Services srl Cities on Line Network - Italia |